idrogeno

IDROGENO

Nel numero 01 di AUTO-moto-TECH, trattando della Renault Twizzy e, in genere, dei sistemi di propulsione elettrica, ho fatto accenno alle pile a combustione come fonte ottimale di energia: ad alta densità (molto più alta che dalle batterie), affidabile e con tempi di “rifornimento” normali, o quanto meno non superiori a quelli necessari a fare il pieno di metano in pressione. Il problema è che il carburante per alimentale le pile a combustibile è l’idrogeno e, a questo momento, non abbiamo a disposizione idrogeno in quantitativi e a prezzi che consentano di rimpiazzare i carburanti derivati dal petrolio. E allora vediamo di analizzare il problema in profondità, inserendolo nel discorso più generale delle fonti di energia alternative. I ricercatori scientifici, l’industria e i governi occiden­tali da tempo si trovano di fronte al problema, diventato sempre più pressante, di rispondere nel modo più razionale alla crescente richie­sta di energia da parte delle nazioni industrializzate, il cui numero, per di più, è in continua progressione. Il problema, in questi ultimi vent’anni, ha assunto una duplice valenza. Oltre a quella legata al reperimento di nuove fonti di approvvigionamento di combustibili, e alla loro colloca­zione geografica, ha preso sempre maggiore consistenza quel­la relativa all’impatto che, bruciare i suddetti combustibili per produrre energia, ha sull’ambiente. In questa seconda ot­tica, ad attirare gli strali degli ecologisti sono stati so­prattutto l’automobile o, più in generale, i mezzi di tra­sporto individuali, tutti soggetti all’utilizzo di derivati dal petrolio. In merito, ci sarebbero da fare un sacco di considerazioni sulla ottusa demagogia di queste istanze, ma qui mi atterrò solo a valutazioni di ordine sia scientifi­co, sia geopolitico.

Il concept Chevrolet Sequel probabilmente rimane tutt’ora il migliore esempio di veicolo a propulsione elettrica alimentata da pila a combustibile. Chevrolet Sequel è cinque metri di SUV urbano che, con cinque posti effettivi ed un bagagliaio enorme, scivola via silenzioso, accelerando da 0 a 100kmh in circa 9”5 e raggiungendo una punta velocistica che sfiora i 150kmh, in pratica la velocità di crociera, il tutto con una autonomia di 480 chilometri. Questo, a grandi linee, è il profilo del primo veicolo propulso da motori elettrici alimentati da pila a combustibile che, in teoria, potrebbe essere già messo in produzione di serie in quanto perfettamente funzionale. In effetti la Chevrolet ne produrrà una piccola flotta, poche centinaia da affidare ad utenti selezionati dislocati nelle aree degli USA dove stanno sorgendo infrastrutture che assicurino il regolare rifornimento di idrogeno. La ricarica di 8kg di idrogeno gassoso è immagazzinata alla pressione di 700bar in tre bombole, la cui costruzione, in compositi di carbonio, ne minimizza dimensioni e peso, oltre a garantire massima sicurezza. La pila a combustibile trasforma l’energia chimica dell’idrogeno in una potenza elettrica di 73kW che alimenta direttamente al motore elettrico da 65kW che dà la propulsione alle ruote anteriori. La pila, inoltre, ricarica un pack di batterie agli ioni di litio che erogano un totale di 65kW e alimentano due motori elettrici di 25kW ciascuno. Ognuno di questi motori è solidale con il mozzo della ruota relativa. Nella Sequel tutto è elettro-elettronico, anche lo sterzo, che comanda sia le ruote anteriori che quelle posteriore tramite servomotori, senza altre connessioni meccaniche.

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Diciamo subito che la scienza una ri­sposta definitiva ad ambedue questi aspetti del problema l’ha già data e, come detto, si chiama “idrogeno”. Ma i tempi di conver­sione dalla attuale “civiltà del petrolio” a quella futuri­bile dell’idrogeno non saranno rapidi. In primo luogo perché noi non disponiamo né di adeguati quantitativi di idrogeno libero, né, ovviamente, di in­frastrutture adeguate a renderne agevole l’accesso da parte dei con­sumatori finali. La scienza ci dice che l’idrogeno è l’ele­mento più diffuso nell’universo, ma, ironicamente, esso, sulla Terra, è presente solo in combinazione con altri ele­menti, in primo luogo con l’ossigeno, con cui forma l’acqua, la cui molecola, però, è tanto stabile che la sua scomposizione richiede più energia di quella che, poi, si ottiene ricombi­nando, nella combustione o nella ossidazione fredda, gli stessi atomi di ossigeno e di idrogeno in precedenza ottenu­ti. Per altro, se si pensa che il ciclo energetico derivante dalla ricombinazione dell’idrogeno e dell’ossigeno dà, come prodotto finale “allo scarico”, acqua, si capisce che il passaggio dal petrolio all’idrogeno innescherebbe un circolo virtuoso acqua-energia-acqua assolutamente perfetto e ine­stinguibile, sul piano ecologico. E, su quello geo-politico, consentirebbe di chiudere definitivamente con il ricatto dei paesi produttori, in buona parte non amici affidabili del­l’Occidente, come le recenti crisi, e la relativa, abnorme lievitazione del prezzo del petrolio, ci hanno fatto perce­pire in modo molto chiaro. Da più parti si è genericamente indicato nel 2020 l’anno in cui si potrebbe cominciare a contare su una adeguata rete di­stributiva per l’idrogeno, ma si è rimasti sul generico in merito a come produrre l’idro­geno in modo da disporne in quantitativi adeguati al fabbi­sogno mondiale e, soprattutto, a prezzo competitivo con quelli dei carburanti derivati dal petrolio, senza che a tal fine si debba ri­correre ad incentivi di natura eco-politica. Per fortuna la Scienza, quella con la S maiuscola, ha una formidabile capacità di porsi di fronte ai problemi e di ri­solverli, sempre, con assoluto rigore e razionalità. Così è accaduto che, già nei primi anni ’70, gli scienziati di vari istituti e centri di ricerca nucleare, in primo luogo quelli di Oak Ridge negli Stati Uniti e il nostro di Ispra, ma poi anche quelli della General Electric e di una università nipponica, hanno messo a punto quattro processi di dissociazione della molecola dell’acqua che consentono di ottenere idrogeno come by-product della produzione di energia elettrica in una centrale elettronucleare. In una centrale elettro-nucleare le turbine, che muovono i generatori di energia elettrica, sono mosse da un flusso di vapore acqueo che la fissione controllata dell’atomo nel reattore porta ad oltre 650°C. Questa enorme energia termica attualmente viene dispera nell’atmosfera tramite le così dette torri di raffreddamento. Ma, hanno constatato i ricercatori dei quattro istituti in questione, a quella temperatura anche alla stabilissima molecola dell’acqua viene, quanto meno, un po’ di male di testa. È bastato individuare il corretto catalizzatore chimico, con cui trattare il flusso di vapore in uscita dalle turbine, per ottenerne, in un processo a ciclo chiuso: idrogeno, ossigeno e recuperare il catalizzatore stesso.

L’abitacolo di Sequel è molto confortevole e comandi e strumentazione sono intuitivi e razionali.

Con i reattori di terza generazione che sono in via di attivazione, il processo di dissociazione è ancora più agevole e completo, in quanto in questi il vapore si avvicina alla soglia degli 800°C. Con quelli di quarta generazione si arriverà al limite dei 1000°C e il rendimento del processo sarà ancora superiore. Preciso, a scanso di equivoci, che l’innalzamento della temperatura dell’acqua ai valori indicati non avviene, ovviamente, per il suo diretto passaggio nel core del reattore, ma in uno scambiatore di calore nei cui circuiti, rigorosamente separati, circolano, in uno, l’acqua e, nell’altro, il refrigerante del reattore, per cui il vapore non rischia mai la contaminazione radioattiva. Il processo soddisfa i tre postulati fondamentali per poter innescare un positivo passaggio dalla civiltà del petrolio a quella dell’idrogeno: l’abbondanza di “materia prima”, cioè l’acqua, il fatto che tale materia prima sia disponibile per tutti e non sia monopolio di pochi come il petrolio, l’alta competitività economica di tutto il processo. In tutto questo credo stia una ulteriore ragione per accelerare il ritorno al nucleare. Ovviamente il discorso non vale per l’Italia che, sulla base di un impulso viscerale indotto dalla crisi della centrale di Fukushima, ha votato per l’uscita dal nucleare. In pratica ci siamo sparati in un piede, chiudendoci l’accesso a quella che oggi è la fonte di energia, e domani di combustibile, più razionale, anche in relazione alle esigenze di rispetto dell’ambiente.  Dopo oltre trent’anni da quando per la prima volta ho avuto notizia dei quattro processi messi a punto dai Centri Ricerca in questione, e ho cercato di farla pervenire sia al pubblico che ai potenziali interessati, per la prima volta nel 2008, ad un seminario tecnico della General Motors a Detroit, ho avuto l’emozione di vedere un grafico in cui, dalla casella “NUCLEAR”, si dipartivano due linee parallele, una terminava con la casella ELECTRICITY, l’altra con la casella HYDROGEN. Finalmente la Grande Industria prendeva atto di questa grande opportunità e la proclamava come la sola che veramente potrà aprirci le porte della civiltà dell’idrogeno, con i conseguenti benefici ambientali che ne conseguiranno. Non va dimenticato, infatti, che la pila a combustibile non va vista esclusivamente come generatore di corrente elettrica per la propulsione automobilistica (associata ad una batteria agli ioni di litio come quella della straordinaria Chevrolet Volt), ma può consentire la produzione di energia elettrica “in loco”, grazie allo sviluppo di unità debitamente dimensionate. Non va, inoltre, dimenticato che l’idrogeno è il vettore energetico universale, carburante perfetto per tutti i motori endotermici di impiego aeronautico e spaziale, e non solo per alimentare sistemi di pile a combustibile.

La vista in trasparenza di Sequel

Credo sia doveroso, a questo punto, aggiungere che, con buona pace dei ricercatori BMW, l’unico tipo di motore endotermico che è bene non alimentare ad idrogeno è proprio il motore a pistoni, poiché, fra le tante sue virtù, all’idrogeno manca quella di un adeguato valore ottanico. Infatti si ferma a meno di 80 RON, e questo spiega come un poderoso propulsore quale era il BMW V12 5.4 litri da 325Hp, nei prototipi alimentati ad idrogeno si fermasse a soli 210Hp: inaccettabile. In attesa che si concretizzi un adeguato piano di produzione e distribuzione dell’idrogeno, l’industria ha intrapreso quella che si può definire la relativa marcia di avvicinamento, cercando di scansare al meglio, attraverso la ricerca di carburanti alternativi, i colpi sia degli ecologisti che dei produttori di petrolio. Da tempo gli specialisti italiani, Landi Renzo e BBC, sono leader nel settore dei sistemi di alimentazione bifuel a GPL, che in Italia è ben disponibile attraverso una fitta rete di distributori. É un buon carburante per autotrazione costituito da una miscela di propano (C3H8) e butano (C4H10), gas che hanno il merito di poter essere liquefatti quasi a temperatura ambiente, e quindi di essere immagazzinati e conservati agevolmente in questo stato. Trattandosi di gas, butano e propano non incorporano inquinanti “pesanti”, come lo zolfo, e, una volta in camera di combustione, si miscelano con l’aria in modo più intimo ed uniforme di quanto possa fare la benzina polverizzata. Ne consegue che la combustione è più completa e genera meno inquinanti allo scarico. Il propano, inoltre, vanta un elevato tenore ottanico: 115 RON. Quindi il GPL (ma meglio sarebbe che fosse solo propano, come negli USA) è un carburante interessante sia dal punto di vista ecologico che da quello prestazionale, perchè consentirebbe lo sviluppo di motori di serie con rapporto di compressione superiore a 12:1. Ma il GPL è un derivato del petrolio, e quindi, dal punto di vista dei rapporti geo-politici, è nella stessa condizione di benzina, gasolio e tutto il resto. Molto rilevanti, dal punto di vista della evoluzione dei sistemi di alimentazione con GPL, sono quelli ad iniezione diretta sviluppati dalla BBC. Per il momento sono riservati ad applicazioni dedicate, ma il loro livello di efficienza e affidabilità è già adeguato ad un potenziale impiego di serie. Il metano (CH4) è il secondo nella lista di preferenza, in quanto meno agevolmente manipolabile del GPL poiché, per il momento, lo utilizziamo solo in forma gassosa e immagazzinato in contenitori ad alta pressione. Il metano, infatti, può essere liquefatto solo a temperature inferiori ai -160°, e questo impone il ricorso a tecnologie criogeniche abbastanza impegnative. Debbo sottolineare che, in parte, questo si potrebbe considerare un falso problema perchè il metano, quando viene trasportato dalle navi metaniere, viaggia allo stato liquido e, infatti, per immetterlo nella rete di distribuzione nazionale, viene riportato allo stato gassoso in quei grandi impianti che si chiamano ri-gassificatori. É un doppio spreco di energia. Basterebbe conservarne una aliquota allo stato liquido per destinarla all’autotrazione, se esistessero propulsori dotati di sistemi di alimentazione ad iniezione diretta di CH4 liquido. Fantasie iper-tech a parte, il metano è un combustibile altamen­te ecologico da impiegare, così come ce lo fornisce madre natura, nei motori attuali perché la sua combustione produce meno CO2 di quella di qualunque al­tro idrocarburo (in ragio­ne di quella sua molecola con un unico atomo di carbonio cui sono legati i quattro di idroge­no), praticamente zero CO e, se il circuito di alimentazione è ben sigillato e si utiliz­za un sistema di alimentazione ad iniezione diretta, zero HC. Più leggero dell’a­ria, si miscela omogeneamente ad essa in camera di combu­stione e brucia perfetta­mente e completamente. E ovviamente la sua combustione non produce particola­to. Se non fosse per il fatto che qualsiasi combustione pro­duce NOx, con l’alimenta­zione a metano si potrebbe fare a meno del catalizzatore allo scarico, e dei relativi costi. Inoltre, il suo eleva­tissimo tenore ottanico (130 RON) consente di realizzare propulsori a ciclo Otto con rapporti di compressione superiori a 15:1, cioè prossimi a quelli di uno a ciclo Diesel, quindi con rendimenti termodinamici analoghi. Rinunciando a una aliquota di quel suo vertiginoso tenore ottanico, il metano può essere miscelato con l’idrogeno, con il risultato di abbattere ulteriormente le emissioni di CO2. A proposito di anidride carbonica, non è ancora dimostrato che abbia sull’ambiente gli effetti deleteri paventati dai “verdi”. Certo ne ha di più il dissennato disboscamento della foresta amazzonica. Dal punto di vista geo-politico, il metano risolve solo in parte il problema in quanto neppure in questo caso i suoi principali produttori sono affidabili, a cominciare proprio dalla Russia, ancora molto “sovietica”, di Putin. C’è stata molta agitazione, negli ultimi anni, attorno all’idea di rimpiazzare la benzina con un alcohol, specificamente l’etanolo. Lo scopo è (ancoraaaa?!?!?!) quello di ridurre le emissioni di CO2. Ma non perché la sua combustione ne produca di meno. Anzi, ne produce di più, perché, data una certa quantità di aria aspirata nel cilindro, la percentuale di alcohol, che deve essere immessa per realizzare un corretto rapporto stechiometrico, è superiore a quella corrispondente di benzina. Ad abbattere la presenza di CO2 nell’atmosfera provvederebbero, secondo i sostenitori, le stesse, estesissime colture di prodotti agricoli atti a produrre etanolo, attraverso il processo della fermentazione. Le colture più redditizie sono quelle della canna da zucchero, del sorgo e del mais. La proposta appare avere un senso solo per quei paesi le cui aree coltivabili siano adeguatamente estese e che, come invece sarebbe il caso dell’Italia, non si richieda uno stravolgimento del sistema economico per fare posto a sterminati campi di sorgo e mais. Quest’ultimo, per altro, è molto più interessante come base per ricavarne Bourbon, come, ridendoci sopra, concordammo Bob Lutz, allora vice-Presidente di General Motors, e il sottoscritto. La Scienza, zittendo definitivamente i “verdi”, ha detto una parola definitiva indicando nell’idrogeno la soluzione realistica e globale ai nostri problemi energetici ed ecologici. I tempi saranno relativamente lunghi, ma ne varrà la pena. Ma, nel periodo transitorio in cui l’industria automobilistica si convertirà progressivamente alla propulsione elettrica per mezzo di pile a combustibile, lo si potrà impiegare miscelandolo al metano in una miscela altamente ecologica e da almeno 100 ottani. Che ci consentirà di emozionarci ancora per molti anni al rombo del V8 7.0 litri di una Chevrolet Corvette Z06.

 

Documento ufficiale GM che mostra in progressione la tecnica e la costruzione di Chevrolet Sequel.

courtesy of webmatter.de