Brabham BT62

BRABHAM BT62

 

Jack Brabham è stato uno dei grandissimi dello sport automobilistico. Formidabile pilota, ha conquistato due mondiali di Formula 1 con le Cooper T51 e T53 Climax 4 cilindri 2.5 litri nel 1959 e nel 1960 e quindi ha messo a frutto questa fondamentale esperienza per iniziare, in collaborazione con Ron Tauranac, anche l’attività di costruttore con cui ha raggiunto il pieno successo con il progetto Brabham BT19/BT20, un vero fenomeno di razionalità e di consistenza prestazionale che gli consentì di aggiudicarsi nuovamente il titolo mondiale nel 1966. Primo e unico pilota che sia stato capace di conquistare il titolo mondiale F1 alla guida di un’auto di sua progettazione.

Non ce n’è per nessuno. A conferma della grande lucidità del progetto, nel 1967 la BT19/BT20 replicò il successo nelle mani del team mate Denny Hulme. Nei primi anni ’60 il duo Brabham-Tauranac aveva progettato e portato in gara le sue prime realizzazioni e che, in ottemperanza col regolamento entrato in vigore nel 1961, utilizzavano un propulsore di 1.5 litri, nel loro caso il Climax V8 di 1,5 litri. Il propulsore britannico non era all’altezza del V12 della Ferrari di John Surtees, ma in più di una occasione il campione americano Dan Gurney le portò ad un passo dal successo.  Quando nel 1966 il regolamento della Formula 1 passò alla cilindrata di 3.0 litri, non erano molte le squadre dotate di propulsori veramente competitivi.

La Ferrari in teoria era l’unica a disporre di un blocco in tale cilindrata, il V12 della GTO, dal quale ricavarono un propulsore pronto per le nuove sfide dotandolo di teste con induzione a tre valvole e, quindi, a quattro. Brabham e Tauranac approfittarono del momento di impreparazione (la Climax addirittura prese due V8 1.5 litri, li convertì in due boxer a cilindri contrapposti che mise uno sopra l’altro creando un mostruoso 16 cilindri ad H) tirarono fuori il loro asso nella manica, un V8 Buick-Oldsmobile con blocco e teste in alluminio.

Era un motore compatto e leggero la cui cilindrata originale di 3.5 litri fu ridotta ai 3.0 litri di regolamento accorciandone la corsa. Ne risultò il motore più superquadro della F1 di allora, 88mm x 61.5mm. La trasformazione fu realizzata dall’australiana Repco che operò con molta razionalità, anche per contenere i costi dell’operazione. La termodinamica infatti rimase quella originale, con induzione a due valvole parallele e perpendicolari al piano testa e camera di combustione Heron, cioè ricavata nel cielo del pistone.

L’unica modifica fu di passare dalla tradizionale distribuzione ad aste e bilancieri ad una monoalbero in testa, per ridurre le inerzie e consentire regimi di rotazione adeguati senza rischi di sfarfallamenti. Con iniezione Lucas, il Repco V8 era capace di una potenza di circa 310Hp, quindi molto inferiore ai circa 400Hp del Ferrari e del Maserati V12 e, quindi, del Ford-Cosworth DFV che esordì nel 1967. Ma aveva gran coppia e in uscita di curva era difficile stargli dietro. Inoltre era incredibilmente affidabile e poichè le gare si vincono arrivando in fondo all’ultimo giro, la consistenza pagò appieno le aspettative di Jack Brabham. Per il 1967 il Repco V8 incrementò la potenza a 335Hp, a circa 8000 giri.

Su questa versione girano voci contraddittorie: secondo alcune le misure di alesaggio e corsa erano rimaste inalterate, secondo altri l’alesaggio sarebbe stato maggiorato a 91mm con corsa ulteriormente ridotta a 57.5mm. Comunque fosse, la Brabham BT19/BT20 intascò il titolo mondiale 1967. Alla Repco si montarono la testa e svilupparono una termodinamica con distribuzione bialbero e induzione a quattro valvole, ma, non cogliendo la raffinatezza del pensiero dell’Ingegner Keith Duckworth, posizionarono le valvole ad un angolo incluso troppo aperto ottenendo così una termodinamica molto scadente e il progetto morì lì.

E prontamente Jack Brabham adottò il Ford-Cosworth DFV, come tutti gli altri e, con le sue vittorie, diede un massiccio contributo alla costruzione del mito del più leggendario propulsore della storia della F1. Dopo i favolosi anni ’60 e ‘70, il team Brabham è passato di mano parecchie volte, chiudendo la sua gloriosa storia in quelle di Bernie Ecclestone, ma la leggenda che nacque quando Jack Brabham e Ron Tauranac unirono le loro straordinarie competenze per dare vita ad una delle più belle avventure in Formula 1 è ancora viva e ora, per iniziativa di David, uno dei tre figli del grande Jack e lui stesso titolato pilota automobilistico, il nome Brabham ritorna ad emozionare gli appassionati di vetture al massimo della tecnologia e delle prestazioni.

Rimane anche il tradizionale acronimo BT, oggi associato al numero 62.  La Brabham BT62 è un coupè tiratissimo nella aerodinamica, concepito, almeno allo stato attuale, per un utilizzo esclusivamente in pista, ma magnificamente eseguito in ogni dettaglio.

Ne saranno realizzati solo settanta esemplari, per celebrare i 70 anni dall’inizio della attività sportiva di Sir Jack Brabham, un omaggio doveroso all’unico pilota di F1 che si sia laureato campione del mondo alla guida di una vettura di propria realizzazione.

Realizzata in fibra di carbonio, la Brabham BT62 è lunga 4460mm e alta 1200, pesa solo 972kg e la sua aerodinamica arriva a creare una deportanza di oltre 1200kg alle prestazioni massime. Il motore è un V8 5.4 litri aspirato in grado di erogare 700Hp a 7400 giri e 667Nm di coppia massima a 6200 giri.  Viene definito “motore Brabham”, ma non se ne sa di più, a parte che ha misure leggermente sottoquadre, 94mm x 97mm, mentre il rapporto di compressione è limitato a 10,5:1, un valore oggi utilizzato in motori sovralimentati, e questo mi lascia leggermente perplesso. Ma per il momento questo è. Il cambio è di tipo sequenziale con palette di attuazione al volante. La trazione è posteriore. Le ruote sono da 18 pollici, con radiali corsa (slick) Michelin e impianto frenante Brembo Corsa.

La vettura è stata svelata a Londra da David Brabham e, ovviamente, era in uno splendido “British racing green” combinato con “naso” oro, come le Brabham di F1. Magnifico! Ovviamente, di fronte a certi ritorni che profumano di nostalgia, è sempre bene calmare gli entusiasmi. Di flop dolorosi ne abbiamo visti anche troppi, speriamo che tutta l’operazione sia degna del rigore tecnico ed etico di Sir Jack Brabham.

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