HYUNDAI E L’ONDATA DELL’IDROGENO

HYUNDAI E L’ONDATA DELL’IDROGENO

Da alcuni mesi tutti si sono messi a parlare di idrogeno e, come ormai accade da tempo, l’approssimazione regna sovrana e con essa la corsa alle definizioni più fantasiose per ammantare i piani di produzione dell’idrogeno di un’aura amorevolmente ecologica: idrogeno verde, idrogeno blu, idrogeno grigio. Non esiste. L’idrogeno è il vettore energetico universale, il combustibile da cui nasce l’energia delle stelle e il costituente principale dell’Universo.

Per noi umani il problema è che l’idrogeno sul pianeta Terra non è presente libero in natura se non in quantitativi minimi. Per il resto è l’elemento costituente di molecole che, come quella dell’acqua, hanno legami atomici interni molto forti, quindi per “estrarre” l’idrogeno ci vuole molta energia. D’altronde, è anche realistico pensare che forse è tempo di cominciare, seriamente e senza nevrosi, la transizione dalla civiltà del petrolio a quella dell’idrogeno.

Non in base alle farneticazioni sul cambiamento climatico, ma perché il progressivo utilizzo dell’idrogeno, prima come combustibile chimico e quindi come combustibile atomico, ci dischiuderà l’accesso all’energia pura e illimitata. Senza fare ipotesi al limite del fantascientifico, è ovvio che la gran perte dell’industria, i centri ricerca più avanzati, gli operatori nel settore dell’energia, alcuni politici lungimiranti hanno preso atto che è nell’utilizzo razionale dell’enorme potenziale insito nel “vettore energetico universale” che troveremo la soluzione finale al conflittuale confronto fra tutela dell’ambiente planetario e accesso a sempre più elevati livelli di energia da utilizzare per supportare la costante espansione dell’attività industriale e la mobilità di persone e cose.

La cosa è particolarmente complessa quando si esamini l’atteggiamento dei vari marchi automobilistici di fronte alle imposizioni di politici che, pur nella loro totale incompetenza tecnica, pretendono una transizione criminosamente affrettata alla propulsione elettrica. Il pianeta non sta andando a fuoco, c’è tempo per analisi scientifiche serie, con prospezioni a lungo termine su costi e sviluppi finali, senza rischio di intraprendere strade senza uscita come quella delle batterie agli ioni di litio. Alcuni fra i maggiori esponenti dell’industria di settore hanno già smontato le teorie ambientalistiche care alla von der Leyen e ai firmatari dell’accordo di Parigi, giustamente rifiutato dal Presidente Donald Trump, ma la macchina della demagogia, potentemente foraggiata dall’industria cinese delle batterie, non dà spazio alla scienza ed all’ingegneria.

Ma c’è ancora speranza perché nell’industria c’è chi continua a lavorare e progredire per raggiungere, positivamente e senza traumi, il traguardo della evoluzione dalla civiltà del petrolio a quella dell’idrogeno. Fra quelle che più hanno progredito nella ricerca c’è sicuramente  la coreana Hyundai che recentemente ha annunciato i propri progetti per arrivare, attorno al 2040, a cavalcare appieno “l’ondata dell’idrogeno”, come l’ha definita il presidente Eisun Chung nel corso della conferenza stampa mondiale che ha tenuto in concomitanza con il Salone di Monaco.

Hyundai è un colosso industriale fondato all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e che ha raggiunto dimensioni poderose operando in tutta una varietà di settori primari, dai cantieri navali alle costruzioni, dai semi-conduttori al settore energetico. La divisione automobilistica, fondata alla metà degli anni ’70, nel 1997 ha acquisito il marchio KIA dando vita ad un gruppo che oggi gode di grande prestigio internazionale.

Forte di questa posizione di eccellenza, Hyundai Motors ha valutato il tema fondamentale dello sviluppo di sistemi di propulsione elettrica per auto e veicoli commerciali partendo da una analisi prospettica che, fin dall’inizio, è uscita dagli schemi più generalmente accettati mettendo in campo le vaste competenze acquisite nel settore energetico. Fin dalla realizzazione del primo prototipo del 1998, Hyundai ha focalizzato la ricerca sullo sviluppo di sistemi di propulsione elettrica alimentati da pile a combustibile, anziché a batterie agli ioni di litio. E qui entra in gioco l’idrogeno poichè la pila a combustibile è un generatore di energia basato sul processo di ossidazione fredda dell’idrogeno (niente combustione) e sulla cattura degli elettroni da questa generati e che danno vita ad un flusso di elettricità ad elevata densità energetica.

Le prime pile a combustibile operative (il principio teorico era stato enunciato già nel diciannovesimo secolo) sono state realizzate negli anni ’50 dello scorso secolo e sono state impiegate dalla NASA su satelliti e veicoli spaziali a partire dagli anni ’60. L’industria automobilistica si è immediatamente resa conto del potenziale e sono stati realizzati numero prototipi da parte di tutti i grandi marchi mondiali. I prototipi sono diventati sempre più efficienti e performanti. Ma i costi di una pila a combustibile all’epoca erano sostenibili solo dalla NASA. Oggi solo Honda e Toyota mantengono produzioni simboliche dei loro modelli a propulsione elettrica alimentata da pila a combustibile.

Recentemente anche General Motors, maggiore protagonista della ricerca e delle sperimentazione negli anni ’90, è rientrata in gioco. Ma solo Hyundai, dopo quel prototipo del 1998, ha proseguito nello sviluppo arrivando, nel 2013, a produrre in piccola serie la prima vettura così propulsa, la ix35 Fuel Cell, seguita, nel 2018, dal SUV NEXO e, molto significativo, dal camion XCENT Fuel Cell, il primo veicolo commerciale a propulsione elettrica con pile a combustibile prodotto in serie.

A questo è seguito il veicolo commercial pesante XCENT Fuel Cell la cui messa in produzione ha aperto prospettive molto rilevanti. Una flotta di 30 di questi veicoli opera giornalmente in Svizzera, paese esemplarmente avanzato nella attuazione di programmi razionali di protezione dell’ambiente senza bisogno delle nevrotiche norme della von der Leyen. La sperimentazione pratica su strada sta dimostrando l’assoluta funzionalità dei camion Hyundai Hyundai, inclusi i tempi di rifornimento con idrogeno liquido. Hyundai sta sviluppando tutta una serie di progetti di veicoli commerciali pesanti concepiti per razionalizzare la logistica, oltre che per azzerare le pesanti emissioni inquinanti tipiche dei grossi campion.

L’attenzione che Hyundai riserva ai veicoli pesanti ha anche una ulteriore giustificazione: mentre per le applicazioni automobilistiche continua la ricerca mirata alla  riduzione di costi, delle dimensioni e all’incremento della durata dei componenti, con i veicoli pesanti questi fattori hanno incidenza minore, mentre l’immissione sulle strade di un crescente numero di unità contribuisce in modo importante ad acquisire ulteriore, fondamentale esperienza operativa.

Assieme ai camion a pile a combustibile, Hyundai ha in progetto anche la messa in produzione di bus così propulsi. Hyundai ha operato uno sforzo finanziario enorme per spingere sempre più avanti la ricerca e lo sviluppo di pile a combustibile al fine di renderle sempre più compatte, efficienti e di costo accessibile. Le pile NEXO di seconda generazione, attualmente in utilizzo, hanno una durata di 5000 ore e 160.000 chilometri.

Le nuove pile di terza generazione hanno durata superiore fino al 100 per 100, pari fino a 500.000 km nel caso dei veicoli commerciali. Per l’utilizzo automotive, Hyundai ha sviluppato due unità base, una da 100kW ed una da 200kW. Nella loro terza evoluzione, le prime hanno dimensioni ridotte del 30 per cento e le seconde hanno lo stesso ingombro delle precedenti da 100 kW. Ma quello che più conta è che, per il 2030, i costi delle pile di terza generazione sarà ridotto in misura tale da rendere le auto alimentate da pile a combustibile competitive nei confronti di quella a batterie, e i vantaggi operativi pratici e ambientali faranno volgere decisamente a favore delle pile a combustibile gli orientamenti del mercato. E forse anche dei legislatori.

Gli studi di Hyundai includono anche lo sviluppo di poderose unità, con potenze fino a 1 MW, utilizzabili per la propulsione di treni e navi. La gamma dei sistemi propulsivi attualmente in sperimentazione presso Hyundai va da unità di piccole dimensioni, per veicoli urbani con potenze di 30 kW, fino a gruppi da 500 kW per la vettura da competizione Vision FK, e ancora avanti, per la propulsione di una motrice per grandi autoarticolati che si appresta ad iniziare i test pratici sulle strade della California. Il piano Hyudai prevede di arrivare ad un rigoroso utilizzo dei sistemi di propulsione ad idrogeno per il 2040, senza nevrosi e a step progressivi che consentiranno una transizione, dai propulsori termici a quelli elettrici, senza nevrosi e senza mettere in crisi nessuno. A cominciare dall’industria dell’auto.

Nel frattempo qualcuno dovrà pensare seriamente a produrre idrogeno in quantitativi e a prezzi concorrenziali con il petrolio e i suoi derivati, altrimenti non cambierà niente.  A qui ritorno ai vaneggiamenti su idrogeno verde, idrogeno blu, idrogeno a strisce.  Circa un anno fa ne ha parlato il ministro Patuanelli, la cui scita di scena dopo il collasso del governo Conte non ha causati alcun rimpianto. Patuanelli ha ipotizzato di utilizzare solo idrogeno verde, cioè ottenuto dalla separazione per idrolisi degli atomi di idrogeno e ossigeno che formano la molecola dell’acqua (H2O).

A rendere “verde” l’operazione sarebbe il ricorso ad energia elettrica generate da pale eoliche o pannelli solari. Se è per quello, anche le centrali idroelettriche sono “verdi”, quindi qui nessuno inventa niente di nuovo. Resta il fatto che la scomposizione elettrolitica della molecola dell’acqua comporta, sempre e comunque, una perdita secca pari al 5 per cento dell’energia impiegata. Vuol dire che se ossidiamo i due atomi di idrogeno con quello di ossigeno ottenuti, ricaveremmo un’energia pari a 95 per cento di quella impiegata per separarli. Non è il caso. Fortunatamente Patuanelli non è più ministro di niente, ma resta sempre prioritario il fatto che le scelte che implicano il bilancio energetico della nazione siano fatte sempre con l’obiettivo di conseguire sempre il pareggio.

Ancora più inconsistente è il processo di produzione del così detto idrogeno blu che comporterebbe la decarbonizzazione della molecola del metano (CH4). Una semplice follia. Innanzi tutto perché il metano, così com’è, è già un eccellente combustibile a bassissimo tasso di inquinamento, essendo l’idrocarburo a più basso contenuto di carbonio. Inoltre il metano si propone come eccellente sostituto della benzina per l’alimentazione dei motori alternativi a Ciclo Otto.

È già disponibile in questo senso, ma solo in un utilizzo bifuel in associazione con la benzina. Una soluzione di ripiego ispirata solo da considerazioni economiche, mentre il metano è il combustibile perfetto per i motori a Ciclo Otto in ragione del suo altissimo tenore ottanico: 130 RON, per cui motori dedicati esclusivamente al suo impiego potrebbero operare con rapporto di compressione di almeno 15:1, quindi con rendimenti termodinamici di poco inferiori a quelli di un motore a Ciclo Diesel. Decarbonizzare la molecola del metano vuol dire generare CO2 e visto che si fa un gran strillare che bisogna eliminare il CO2, l’incongruenza è plateale.

In ogni caso il costo energetico sarebbe nuovamente molto elevato e quindi toglierebbe appetibilità al passaggio dal petrolio all’idrogeno come combustibile primario per alimentare le nostre esigenze energetiche. Va bene che in questa Unione (sovietica) Europea personaggi come la von der Leyen e i suoi amici verdi e socialisti non avrebbero alcun problema a sparare tasse micidiali per costringere i cittadini a piegare la testa e accettare le loro scelte dilettantesche.

Ma forse è il caso che anche il mondo della politica prenda atto che l’accesso all’idrogeno, in quantitativi e a prezzi competitivi rispetto a quelli del petrolio, è possibile solo ritornando al nucleare che, con i nuovi reattori di terza e quarta generazione, ha conseguito livelli di sicurezza e di efficienza assoluti. Una moderna centrale elettro-nucleare è in grado di produrre energia elettrica a costi assolutamente competitivi e, come prodotto secondario a costo quasi zero, idrogeno puro dissociando la molecola dell’acqua grazie a processi termo-catalitici già ampiamente sperimentati presso i maggiori centri di ricerca del mondo.

Solo così l’idrogeno potrà essere accessibile al mondo, consentendo di passare alla propulsione elettrica per mezzo di pile a combustibile. Ma non solo per le auto, per favore! Anche per navi, treni, mezzi pesanti. Come propone e sta realizzando Hyundai. L’importante è cancellare le conseguenze delle idiozie antinucleari dell’illustre professor Beppe Grillo, che non sa neppure che cosa sia un neutrone ma ha avuto l’abilità di sfruttare i disastri di Chernobyl (frutto dell’idiozia del sistema comunista sovietico) e Fukushima (contro le forze della natura non c’è niente da fare) per costruirsi una potente piattaforma elettorale che, grazie a Dio, finalmente è collassata.

Per gli uomini di scienza è tempo di riprendere la strada della ricerca. Il nucleare non inquina, non state a sentire quegli ignoranti dei giornalisti dei telegiornali: dalle grandi torri di raffreddamento esce solo vapor acqueo. Non radioattivo, ovviamente.

 

 

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