Vespa Forever



MITI ITALIANI

VESPA FOREVER

Chi mi conosce sa che non sono appassionato di scooter, ma questo non mi impedisce di apprezzarne la grande funzionalità quando siano correttamente concepiti in relazione a quella che è la loro missione istituzionale, quella di commuter urbani agili, facili, leggeri, confortevoli e versatili. Questo mi pone in posizione decisamente critica nei confronti degli scooter grossi, grassi, pesanti, dotati di motori inutilmente potenti, ma soprattutto tutt’altro che agili e soprattutto non agevolmente fruibili nel traffico urbano.

Praticamente poltrone su due ruote che hanno cercato di ridefinire il concetto di scooter per scalzare quella che, dal 1946, è la grande icona con cui tutto il settore dovrà continuare a confrontarsi: la Vespa. A sollecitarmi a scrivere questo suo profilo è stata l’assegnazione a Vespa Elettrica del XXVI Compasso d’Oro, prestigioso premio internazionale istituito dal grande designer Gio Ponti.

La prima reazione è stata: era ora che a Vespa fosse riconosciuta la sua geniale unicità, e quindi ho ripercorso quella che, negli anni, è stata l’evoluzione del mio rapporto con Vespa, che per anni non è stato affatto amichevole, per quanto abbia sempre ammirato fin dall’inizio la genialità del suo progetto di matrice avio concepito dalla enorme competenza dell’Ing. Corradino D’Ascanio. Vespa ha incorporato fin dalla prima serie tutte le qualità di un vero commuter economico ed estremamente accessibile nella gestione, dalla grande affidabilità e razionalità nel design ben protettivo.

La sua struttura è condizionata da fondamentali scelte funzionali. La due ampie codolature laterali nascondono, da un lato, il motore in blocco con trasmissione diretta alla ruota posteriore (il baricentro della Vespa originale era fuori asse e viaggiava sempre “di bolina”), e, dall’altro, la ruota di scorta, che all’epoca era accessorio fondamentale per essere sempre sicuri di tornare a casa. La ricerca della massima economicità ha imposto l’adozione di ruote e pneumatici di misura al minimo, 10 pollici, ma tutto sommato adeguata al suo monocilindrico a due tempi la cui potenza era modesta, ma in compenso era campione assoluto di affidabilità, almeno fino a quando non ha cominciato a darsi arie sportiveggianti salendo di cilindrata fino a 200 cc.

Il cambio, a manopola rotante, era del tipo a crociera e bisognava “farci la mano” perché non ci voleva niente a saltare una marcia. Il problema non è mai stato risolto, ci sarebbe voluto un vero preselettore che bloccasse l’escursione della crociera una volta selezionato il nuovo rapporto. C’è voluto l’avvento dell’attuale, ottimo cambio CVT per chiudere il caso una volta per tutte.

All’avantreno, l’Ing. Corradino D’Ascanio aveva adottato una sospensione a braccio tirato ispirata a quella del ruotino posteriore degli aerei Piaggio dell’epoca. Bisognava lavorare con quello che c’era e la soluzione era razionale dal punto di vista della disponibilità dei componenti per la produzione. Dal punto di vista funzionale, la sospensione doveva assorbire la coppia frenante sviluppata dal freno anteriore a tamburo la cui piastra portaceppi era ancorata al braccetto e il risultato era che la Vespa in frenata “picchiava” di avantreno, perdendo nitidezza di assetto e di risposta allo sterzo.

Ma non era il solo problema derivante da quella scelta, all’epoca quasi obbligata. L’architettura di questa sospensione porta la quasi totalità delle masse dei suoi elementi oscillanti, più ammortizzatore, e tutto il resto, oltre l’asse di sterzo e questa è una condizione che innesca inerzie che perturbano la stabilità e la neutralità dell’avantreno. Non lo dico io, lo dice la fisica. I fenomeni erano ulteriormente amplificati dalla bassa rigidità strutturale della scocca, visto che all’epoca le due grandi codolature laterali non erano integrali con il resto della stessa.

Qui chiudo la dissertazione ingegneristica perché le scelte di allora erano tutte ispirate dalla ricerca di quella che doveva essere la massima funzionalità pratica di un veicolo ultra utilitario che aveva nella grande praticità ed economicità di esercizio virtù che erano assolute e che non venivano sminuite da una risposta allo sterzo un po’ vaga, visto che le prestazioni sono rimaste a livelli che comunque erano ben gestibili anche con l’avvento delle versioni più performanti della generazione dei propulsori a due tempi originali.

Il grande salto di qualità è venuto con i motori a quattro tempi e con la totale riprogettazione della struttura della scocca di cui saremo sempre grati all’Ing. Lucio Masut che ha disegnato una Vespa che è rimasta fedele alla sua immagine tradizionale, ma che in effetti realizzava un salto di qualità prestazionale straordinario, una vera rivoluzione a cominciare dalle caratteristiche di guida.

Tutto è cominciato con la 200GT, ma è stata la 250GT ha segnare una svolta non solo nella qualità globale di Vespa, ma soprattutto nella sua immagine presso il pubblico. Siamo nel 2005 e la Vespa sembrava essere passata di moda di fronte all’avanzare dei maxi scooter. La 250 GT disponeva di un bel motore a 4 tempi da 22Hp con avviamento elettrico, iniezione elettronica ed era finalmente associato ad un eccellente cambio CVT. Le prestazioni erano brillanti e supportate da un impianto frenante a disco anteriore e posteriore e da quella scocca di elevata rigidità torsionale disegnata dall’Ing. Masut.

La pinza del freno anteriore era fissata all’ammortizzatore, un elemento fisso e quindi le coppie frenanti non andavano più a far “picchiare” l’avantreno, per una guida decisamente più precisa e nitida. I pneumatici avevano finalmente misure differenziate fra avantreno, 120/70-12, e retrotreno, 130/70-12. La Vespa si stava ispirando a scelte di tipo motociclistico e i vantaggi erano evidenti, come pure la crescita di apprezzamento da parte del pubblico. L’avantreno manteneva la solita architettura a braccetto tirato e a quel punto veniva istintiva la domanda: perché non girate il tutto, i componenti possono rimanere integralmente gli stessi. Posta a tal dr. Binetti, capo del marketing dell’epoca, costui assunse l’impostazione di novello Mosè che scende dal Monte Sinai con il viso splendente e le Tavole della Legge e decretò “ la Vespa non si cambia”.

C’era poco da parlare di leggi della fisica, di inerzie che perturbano la stabilità dell’avantreno: è così o è così. In effetti nulla è cambiato da allora e mi viene voglia di prendere una Vespa, chiudermi in una officina per una giornata e, con gli stessi pezzi, girare tuto l’avantreno e poi andare a Pontedera. Peccato che il mio amico Ing. Bagnoli sia andato in pensione perché gliela farei provare molto volentieri per dimostrargli che le mie affermazioni sull’argomento non erano derivate da uno sterile atteggiamento critico.

La Vespa ha continuato a crescere e a raffinarsi, sia nella versione GTS che nella Primavera, ultra leggera e agilissima con i suoi motori con induzione a tre valvole che fanno miracoli. Il 150 cc le assicura lo scatto e l’agilità  di un gatto nel traffico urbano, divertentissima. I motori a quattro tempi sono tutti eccellenti e il rinnovato 300cc HPE da quasi 24Hp assicura eccellenti doti di accelerazione e ripresa e una velocità massima superiore a 130 kmh.

E il successo su tutti i mercati del mondo ha raggiunto numeri incredibili. La Vespa è tornata ad essere lo scooter di chi ha capito a che cosa deve servire lo scooter, commuter urbano agile, facile, confortevole, protettivo, sicuro. Girale la sospensione anteriore e diventa perfetta. Come ho detto all’inizio,, assegnare il Premio Compasso d’Oro alla versione elettrica è quasi offensivo.

Le Vespa attuale è tutta da Compasso d’Oro, ma siamo in tempi di elettrificazione dei cervelli e quindi vada pure il Compasso d’Oro a Vespa Elettrica, scooter ultra ecologico concepito con grande intelligenza. Infatti Vespa Elettrica dispone di un motore da 4kW, cioè la potenza di legge per i ciclomotori, ma ha coppia molto elevata: circa 15Nm, pari a quella di un buon 150cc, e praticamente già a zero giri.

Lo scatto in partenza è estremamente brillante e ai semafori non c’è problema a stare davanti all’onda di traffico, per poi stabilizzarci rapidamente ad un legalissimo 50 kmh, Questo significa che Vespa Elettrica ha costi di esercizio minimi in quanto a assicurazione e può essere guidata da un quattordicenne. Come sempre alla Piaggio hanno le idee chiare in quanto a strategia commerciale. In più Vespa Elettrica ha un look molto attraente, è iperconnessa e offre una autonomia di almeno 60 km con le sue batterie da 4,2 kW/h che richiedono tempi di ricarica accettabili, anche da connessione domestica.

Un altro step evolutivo all’altezza di una storia di assoluta eccellenza, mentre resto in attesa di una Super Vespa, dotata del nuovo 350cc da oltre 30Hp che equipaggia Piaggio Beverly e MP3. È il miglior propulsore della categoria e darebbe l’ultimo tocco di potenziale prestazionale ad una Vespa un po’ più muscolosa nelle misure, ma sempre rigorosamente fedele ad una immagine che è assolutamente iconica ed irrinunciabile, solo più grintosa. E con la sospensione anteriore girata di 180°, ovviamente.

 



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